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Inserto 35 : Finesettimana a.... Messina e dintorni
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From: MSN Nickname¤Ċąгlø¤  (Original Message)Sent: 5/22/2003 11:31 AM
Messina e dintorni


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Recommend  Message 2 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameŜħσųŧSent: 5/22/2003 3:50 PM
 
 
 
(C.A.P. 98100)capoluogo di provincia, dista 288 Km. da Agrigento, 229 Km. da Caltanissetta, 96 Km. da Catania, 193 Km. da Enna, 259 Km. da Palermo, 200 Km. da Ragusa, 154 Km. da Siracusa, 358 Km. da Trapani.

Il comune conta 262.224 abitanti e ha una superficie di 21.123 ettari per una densità abitativa di 1241 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona litoranea collinare, posta a 3 metri sopra il livello del mare.

Foto © 2000 Turi Calvino La Cattedrale di Messina

Il municipio è sito in Piazza Municipio n. 1, tel. 090-7721 fax. 090-718201, numero verde 800061146.

Le attività economiche principali sono l'agricoltura, l'allevamento e l'industria. Le colture prevalenti sono il grano, i cereali, i foraggi, l'uva, le olive, la frutta secca e la frutta in genere. Gli allevamenti presenti sono quelli di bovini, ovini, suini ed equini.

Nel sec. VI a.C. il nome originario della città era Zancle, che in greco significa falce e si riferiva alla forma della penisola di S. Ranieri, dove sorse il primo nucleo abitato fondato da coloni calcidesi.
La città mutò denominazione nel sec. V a.C., chiamandosi Messanion dopo l'invasione dei Messeni, trasformatosi in Massana durante la dominazione romana, in Msna sotto gli Arabi e successivamente nell'attuale Messina.

Nel 396 a.C. fu distrutta dai Cartaginesi e riedificata da Dionigi, tiranno di Siracusa. Nel 263 a.C. fu conquistata dai Romani, nell'843 dagli Arabi, successivamente dai Normanni e dagli Angioini.

In seguito fu dominata dagli Aragonesi e dagli Spagnoli, sotto i quali fiorì notevolmente il commercio. Nel XVII secolo la città si rivoltò contro l'esosità del governo spagnolo.

Foto © 2003 A.A.P.I.T. Messina Messina: Monte di Pietà

Soppressa la rivolta, Messina cominciò a decadere, le furono abrogati i privilegi che aveva avuto precedentemente e fu istituita la "Cittadella", una macchina bellica a salvaguardia della città.

Fu colpita dalla peste nel 1743 e da un terremoto nel 1783, che la danneggiarono gravemente. Nel 1847 e 1848 partecipò alle lotte risorgimentali. Dopo la distruzione della città causata dal terremoto del 1908, fu ricostruita mutando completamente il suo precedente assetto urbanistico.

Tra i monumenti più importanti ricordiamo il Duomo di epoca normanna e restaurato nel secolo scorso, il Campanile del Duomo, che contiene il celebre orologio astronomico costruito a Strasburgo e inaugurato nel 1933, la Fontana di Orione edificata nel 1547 e il Palazzo Municipale.

Tra i personaggi illustri originari di Massina annoveriamo: il famoso pittore Antonello da Messina (1430-1479), l'astronomo Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), il patriota Giuseppe La Farina (1815-1863) e l'europeista Gaetano Martino (1900-1967), che fu rettore all'Università di Roma.


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Recommend  Message 3 of 14 in Discussion 
From: MSN Nickname¤Ċąгlø¤Sent: 5/23/2003 11:49 AM
 

Via Valeria (Corso Umberto I)
Porta Messina-Porta Catania
(800 m)

Itinerario storico monumentale
E’ il tratto più significativo dell’antica via Valeria, strada consolare che congiunge Messina a Catania; essa dalla costa (Spisone)...Continua


Piazza V. Emanuele-Teatro
Archeologia & Natura (km 1,9)
Dalla Piazza V. Emanuele si intraprende la via Teatro Greco, a destra si imbocca la scalinata alberata di via Timoleone e quindi si percorre la via Jallia Bassia, la via del Ginnasio e la via Bagnoli Croce, su questa ultima...Continua

Porta Messina-Castelmola
Versante nord-est Monte Tauro
Itinerario panoramico-paesistico
Da Porta Messina imboccando la via Costantino Patricio e costeggiando la Cinta muraria interna si incontra la Fontana dei Cappuccini ...Continua


Porta Catania-Castelmola sud
Panoramico-paesistico (km 1,3)
Da Porta Catania si intraprende la via Apollo Arcageta, sulla sinistra si incontra la Chiesa di S.Francesco di Paola che in origine fu la cattedrale di Taormina...Continua

Piazza IX Aprile-Castello Saraceno
Panoramico-paesistico (850 m)
Dalla Piazza IX Aprile, verso Porta Messina si imbocca Vicolo stretto (caratteristica via larga appena 60 cm), si arriva sulla via Don Bosco e quindi salendo...Continua

Piazza IX Aprile-Marina di Villagonia
Panoramico-paesistico (850 m)
Dalla piazza IX Aprile verso Porta Messina si imbocca la discesa di via Teofanie Cerameo e quindi la via Bastione sino ad incontrare la via Roma...Continua

Porta Messina-Baia di Spisone
Panoramico-paesistico (Km1,4)
Rappresenta la continuazione della via “Valeriaâ€. Da Porta Messina si intraprende la discesa di via S. Pancrazio, in successione si incontrano i resti...Continua

Porta Messina-Mazzarò-Isola Bella
Panoramico-paesistico (Km2)
Itinerario prevalentemente panoramico-paesistico (versante sud-est del promontorio di Taormina)...Continua

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Recommend  Message 4 of 14 in Discussion 
From: MSN Nickname¤Ċąгlø¤Sent: 5/23/2003 12:02 PM

TINDARI

http://sicilyweb.com/tindari/

• Tutte le foto di Tindari
• Spedisci una cartolina da Tindari

Per chi arriva a Tindari da Est, il susseguirsi di colline digradanti che si gettano in mare formando capo Tindari sembra un grande drago placidamente addormentato con, posato sulla testa, il santuario, visibile fin da lontano. Ci si inerpica lungo la "schiena" godendo di begli scorci sul Golfo di Patti e sulle spiagge fino a Capo di Milazzo.

Il santuario, costruito recentemente, ospita una Vergine nera bizantina ed è meta di pellegrinaggi soprattutto in maggio, mese mariano, e 18 settembre. A picco sotto il santuario (visibili dalla terrazza antistante) si possono vedere i Laghetti di Marinello, piccoli specchi d'acqua che il mare crea insinuandosi nella baia sabbiosa, differenti ogni volta. La nascita di questi laghetti è legata alla leggenda di una bimba caduta dall'alto del capo a causa della madre miscredente (la donna non voleva "affidarsi" ad una Vergine nera) e miracolosamente salvata dall'improvviso ritirarsi delle acque impetuose che lasciarono il posto, per accoglierla ed attutire la caduta, ad una coltre di sabbia soffice. Nel 1982 uno dei laghetti assunse una forma simile ad una donna velata di profilo nella quale la gente ravvisò la Madonna del santuario.

I laghetti sono raggiungibili a piedi dalle spiagge di Oliveri.

LA CITTA' - GRECA
Posta in bella posizione, sulla sommità del capo omonimo, la colonia greca Tyndaris viene fondata dal tiranno di Siracusa Dionisio il Vecchio nel 396 a.C. per i profughi spartani alla fine della guerra del Peloponneso (404 a.C.). Il nome, forse pre-esistente, si riconduce ai Dioscuri, chiamati anche Tindaridi, ed al loro padre terreno Tindaro, eroe e re mitico di Sparta, sposo di Leda e padre anche di Elena, causa indiretta, vuole la leggenda, della guerra di Troia, narrata da Omero nell'Iliade, il legame tra la città ed i due gemelli (il cui padre divino è Zeus) è testimoniato dalla presenza di raffigurazioni su monete e mosaici.
In posizione dominante e naturalmente protetta, la nuova città è un punto strategico nel controllo del tratto di mare compreso tra le Eolie e Messina. L'imponente cinta muraria costruita dalla parte della terra non serve purtroppo
ad evitare la caduta in mano cartaginese. Passata in seguito sotto il dominio romano, la città conosce un periodo di grande prosperità durante il quale vengono costruiti o modificati molti edifici pubblici: scuole, mercati, stabilimenti termali ed il
teatro, di origine greca, ma modificato per assecondare le esigenze del nuovo pubblico.
Tindari va però incontro ad un periodo di decadenza che trova i punti salienti in una frana che fa precipitare parte della città e nella conquista musulmana del IX sec. D.C.

LA ZONA ARCHEOLOGICA

Le mura - Lungo la salita che conduce alla sommità di capo Tindari, si costeggiano a tratti le imponenti mura costruite al tempo di Dionisio e rafforzate e
sostituite in seguito da un doppio paramento di massi di pietra squadrata. La cinta
racchiudeva solo nei punti non difesi naturalmente la città, che aveva una pianta
regolare, con tre ampi decumani (le vie principali e parallele) e cardini perpendicolari. La conformazione del terreno, in salita, facilitava il sistema fognario che correva lungo queste strade secondarie, in pendenza, un piccolo Antiquarium, oltre l'ingresso agli scavi sulla sinistra, espone reperti rinvenuti durante gli scavi.

L'insula romana - Si tratta di un intero quartiere a sud del Decumano Superiore,
completo di terme, tabernae, abitazioni ed in particolare di una grande casa patrizia che conserva ancora, nei pavimenti di alcune stanze, resti di mosaici.

Basilica - E' un bell'edificio ad arcate i cui resti danno un'idea della grandezza originale. Anche se il nome lo designa come il luogo destinato alle assemblee, la sua vera funzione resta incerta: forse un monumentale propileo dell'agorà, lo spiazzo principale della città. Costruito con grandi massi squadrati di pietra arenaria, presentava, sul fronte, cinque archi. Quello centrale, più ampio,
costituiva l'accesso ad un passaggio coperto con volte a botte che fungeva da galleria sulla strada principale.

Il teatro - Raggiunto il Decumano Superiore, a sinistra. Si trova a monte del Decumano Superiore, probabilmente la via principale (sono venuti alla luce solo due decumani). Di origine greca (fine del IV sec. a.C.) fu costruito sfruttando la naturale conformazione del terreno con la cavea rivolta verso il mare e le Eolie. Venne trasformato in epoca imperiale per ospitare i combattimenti tra gladiatori.



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Recommend  Message 5 of 14 in Discussion 
From: MSN Nickname¤Ċąгlø¤Sent: 5/23/2003 12:08 PM

   RISERVA NATURALE ORIENTATA 
                    "ISOLA BELLA"

 

 


  LA STORIA
  L'area
  La fauna
  Attivita' e servizi
  Come arrivare
  L'ambiente
  La flora
  Il mare
  Regolamento e DECRETO ISTITUTIVO

 

Foto di Rocco Federico e Edward Tronchet
Testi di Rocco Federico e Annamaria Scifo
Tavole di Rocco Federico


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Recommend  Message 6 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameCreativa®Sent: 5/23/2003 3:22 PM

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Recommend  Message 7 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameCreativa®Sent: 5/23/2003 3:31 PM
 
 
A CAVALLO NEI NEBRODI
• A Cavallo nei Nebrodi
Salite in sella per viaggiare dal borgo marino di Gioiosa Marea fino al cuore dei monti Nebrodi, nell’incantevole parco regionale. Raggiungerete vette panoramiche, tra imponenti faggete, fino ad abbeverare i vostri fidi destrieri ai laghetti montani meta di uccelli migratori.
LOCALITA' VISITATE: Gioiosa Marea Gioiosa Vecchia San Pietro Patti Parco dei Nebrodi Serra del Re Lago del Biviere Portella dello Zoppo Portella Femmina Morta Monte Soro Alcara Li Fusi Tindari San Marco D'Alunzio Laghetti di Marinello

1° GIORNO: Benvenuti a Gioiosa Marea!
Dall’aeroporto di Catania trasferimento a Gioiosa Marea, ridente cittadina sul mare, sistemazione in rifugio, cena e pernottamento.

2° GIORNO: L’antico borgo di Gioiosa Vecchia
Colazione e partenza a cavallo per Gioiosa Vecchia. Qui breve trekking a piedi fino ai ruderi del borgo antico a quota 800m (M. Melluso). Ritorno ai cavalli e proseguimento sino M. Centarberi, attraverso la riserva della Forestale. Rientro all’azione agrituristica S. Margherita in serata. Percorso di 5h30.

3° GIORNO: Una passeggiata verso S. Pietro Patti
Una sana colazione in agriturismo per rimontare a cavallo fino al livello del mare e risalire il torrente Timeto. Passando per il villaggio Colla Baffone si giunge nel pomeriggio all’azienda agrituristica Galvagno, alle pendici dell’importante centro storico di S. Pietro Patti. Percorso di 4h30

4° GIORNO: Cavalcando in linea d’acqua
Dopo la colazione, partenza a cavallo dall’azienda Galvagno e risalita del torrente Timeto, utilizzando le vecchie regie trazzere, sino al M. Taffuri (1109m). Si prosegue per Portella dello Zoppo sino a giungere al Lago Trearie, all’inizio della zona più selvaggia e integra del Parco dei Nebrodi. Bivacco in tenda. Percorso di 4h30.

5° GIORNO: La tappa dei tre laghi
Giornata dedicata alla caratteristica tappa dei tre laghi. Si percorre a cavallo la pista montana che attraversa l’intero parco dei Nebrodi, passando ai piedi della Serra del Re (1757m) fino al Lago del Biviere, intatto bacino montano. Si giunge quindi a Portella Femmina Morta (1524m) e si prosegue nell’ultimo tratto sino a Villa Miraglia. Pernottamento nel rifugio immerso in un’antica faggeta. Percorso di 5h.

6° GIORNO: Verso il punto più alto
Da Villa Miraglia, costeggiando l’imponente area boschiva di Monte Soro, vetta che con i suoi 1847m è il punto più alto, dopo l’Etna, della parte orientale della Sicilia, si giunge ad Alcara Li Fusi, passando per il bacino artificiale Maulazzo. Lasciati i cavalli, si arriva in bus al convento dei cappuccini per il pernottamento. Percorso di 3h.

7° GIORNO: Atmosfere mistiche: Tindari e S. Marco D’Alunzio
Con un bus si giunge al convento di S. Marco D’Alunzio e all’interessante sito archeologico di Tindari, situato su una rocca che sovrasta la spiaggia di Marinello, caratterizzata dai suoi piccoli laghetti salati.

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From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:00 AM
Forse forse vado fuori-tema, ma leggendo Messina , non posso fare a meno di......
 

LA PESCA DEL PESCE SPADA 

di Raffaele Minasi
chordata1@libero.it

La grossa barca dall'insolita sagoma avanza pigramente fendendo l'azzurra distesa del mare resa più luminosa dai tiepidi raggi di un sole primaverile. Dall'alta vetta dell'albero centrale, audacemente proteso verso il cielo, gli acuti occhi dell'avvistatore, 'u falerotu (anche 'ntinneri), scrutano la calma superficie dell'acqua nella speranza di intravedere, ancora una volta, la scura sagoma del pesce spada.
Improvvisamente un secco comando, istantaneamente eseguito dal motorista: "Aumenta!" e lo scafo sotto la potente spinta del motore portato al massimo dei giri scatta verso il punto dove il pesce, ignaro del suo fatale destino, nuota pigramente cullando il suo sogno d'amore.
Ormai la strana agitazione, che si verifica puntualmente ad ogni avvistamento, regna 
sulla barca e l'esultanza dell'equipaggio è frenata solo dal timore che il pesce possa immergersi sfuggendo alla cattura.


Il lanciatore, dal cui viso non traspare alcun segno d'emozione, si erge maestoso -quasi polena di antica nave - sull'estremità della "passerella" brandendo con braccio fermo la lunga asta munita dell'arpione.
Ancora qualche istante d'attesa e poi, dopo la tradizionale invocazione a "San Marcu binidittu" protettore di questo tipo di pesca, scaglia con forza e precisione il suo mortale attrezzo che, con un tonfo sordo, penetra nella preda incuneandosi profondamente nelle sue carni.
L'animale, superati i primi attimi di smarrimento ed impazzito per il lancinante dolore, cerca scampo nella fuga inabissandosi, ma una sottile e robusta sagola, 'a caloma, saldamente assicurata all'arpione, si dipana velocemente dal capace cesto di vimini dove è riposta spira sopra spira, precludendogli ogni speranza di salvezza.
La lotta è disperata, il pesce avverte che per lui è finita ma, mentre il sangue sgorga copioso dalla ferita rubandogli le forze, tenta con un estremo guizzo di liberarsi dal ferro che gli lacera le carni. Il suo cuore, che ha tenacemente lottato, cede di schianto e 'u pisci viene issato di peso a bordo.
L'acqua, muta testimone del dramma, ritorna immobile, il motore riattacca il suo borbottio. Ricomincia la ricerca di una nuova preda.


La pesca con i pescherecci dotati di "passerella" è molto più redditizia rispetto a quando il pescespada veniva inseguito da un "luntro" a remi guidato a voce dall'avvistatore sulla "barca madre" (feluca) ormeggiata sulla "posta" assegnata: fu introdotta agli inizi degli anni sessanta da alcuni marinai siciliani recatisi a pescare nel Mar dei Caraibi mutando radicalmente una millenaria tradizione.
La "passerella", una barca molto più grande, è fornita di un potente motore che, oltre a rendere l'avvicinamento più veloce, risparmia ai pescatori la disumana fatica di una giornata di voga; il lungo ponte che si protende dalla prua per parecchi metri, porta il lanciatore a trovarsi quasi a perpendicolo sul pesce, condizione vantaggiosa per colpirlo.
La maggiore altezza dell'albero centrale ha eliminato la vedetta da terra, 'u bandiaturi, riuscendo l'avvistatore dalla barca a spaziare per un maggior tratto di mare e, una volta avvistato il pesce, a manovrare dall'alto il timone dell'imbarcazione.


Il pesce spada, uno dei più grossi teleostei viventi (un esemplare catturato nel 1956 in Cile raggiungeva i quattro metri di lunghezza ed i 250 kg. di peso, e nelle tonnare siciliane sono stati catturati esemplari fino a 300 chilogrammi) è anche un veloce nuotatore, raggiungendo facilmente la velocità di oltre 70 km orari.
Appartiene all'ordine dei Perciformi, sottordine Scombroidei, famiglia Xiphidae .
Il nome del genere, Xiphias (in greco "spada", denominazione attribuitagli anticamente da Aristotele), è rimasto immutato per 2.400 anni. Successivamente Linneo (1758) nell'introdurre la nomenclatura binomiale, aggiunse al nome greco il termine latino di gladius per indicare la specie.
Chiamato dai greci anche Galeotas, viene definito dal Fiore - che fa riferimento a Plinio II - Thaureanus, dal nome della città di Taureana presso Palmi, distrutta nel 1500 dalle invasioni saracene, dove fin da quei tempi se ne praticava la pesca.
In alcuni frammenti a noi pervenuti, Archestrato di Gela (presso Ateneo), parlando anche dell'anguilla e della murena, decanta la bontà gastronomica del pesce spada definendolo "cibo divino", mentre Oppiano di Cilicia nel suo De piscatione ne descrive i comportamenti.
Il fiorentino Paolo Giovio paragona le carni di questo pesce a quelle dello storione, mentre di parere diverso è Aldovrandi che, meravigliandosi di quanto asserito dal Giovio, afferma che la sua carne è "di malissima digestione, di difficile cottura e chiunque deve astenersi dal mangiarne". Dopo queste affermazioni, sorge legittimamente il dubbio che anche nel passato agli ignari degustatori venisse ammannito come pescespada qualche altro tipo di pesce molto meno appetibile.

>>> continua


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Recommend  Message 9 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:00 AM


La combattività di questo pesce è documentata fin dall'antichità da notizie di attacchi
alle imbarcazioni, a volte con il ferimento dei marinai.
Il 6 luglio 1967 un esemplare di 89 kg. attaccò il sommergibile oceanografico "Alvin" che si trovava immerso a 610 m. di profondità al largo di Savannah nell'Atlantico, restando incastrato con la spada in una giuntura dello scafo; gli operatori di una nave-fattoria russa hanno trovato, infisso nelle carni di una balena, un troncone di spada lungo 70 cm.
Nello Stretto di Messina nel corso delle sue migrazioni primaverili percorre il tratto di mare tra Scilla, Bagnara e Palmi in Calabria, per la riproduzione, poi all'inizio dell'estate inverte la rotta costeggiando lo stretto dal lato della Sicilia.
La sua pesca è una tra le più antiche che si conoscano: viene descritta da Omero nel canto XII dell'Odissea (vv.98-98), menzionata da Strabone e descritta dettagliatamente da Polibio; ne parlano anche Plinio II e il Barrio.
Verso la fine del 1660 il gesuita napoletano Nicolò Giannattasio, ospite del principe 
Francesco Maria Ruffo, ebbe modo di assistere dall'alto del castello di Scilla a questa pesca, cantata in seguito in esametri latini nella sua opera Halieutica; l'argomento venne trattato successivamente nello stesso stile, apprezzabilmente, dallo scillese Diego Vitrioli nel suo poema Xiphia.


Fino agli anni '60 del XX secolo questa pesca veniva praticata come descritta da Polibio e quindi con le stesse modalità dell'epoca greca, ed ancora oggi molti termini dialettali usati dai pescatori non sono altro che inequivocabili corruzioni dei corrispondenti termini greci.
In questo tipo di pesca ormai non più praticata le barche dette "luntri" o "schifi" erano manovrate da cinque robusti rematori, che facevano procedere la barca con la poppa, sopra la quale stava il lanciatore - 'u lanzaturi -; due dei quattro lunghissimi remi, quelli più verso poppa, poggiavano su scalmi ricurvi sporgenti circa un metro dai bordi della barca per meglio equilibrarne il movimento ed imprimerle una maggiore velocità.
Il rematore centrale, detto "mezziere", a differenza degli altri impugnava i due remi insieme; il "falerotu", o "ntinneri", dalla cima del piccolo albero posto al centro della barca, dirigeva le operazioni di avvicinamento alla preda seguendo le indicazioni che la vedetta, appostata su un'altura in riva al mare ("guardiola") - o sulla antenna della feluca ("ntinneri") - gli trasmetteva a voce agitando una bandierina bianca.
Ritto in piedi stava 'u lanzaturi con la lancia in mano, che generalmente era il capociurma, "u patruni", a cui tutto l'equipaggio doveva cieca ubbidienza, dato che su di lui incombeva la responsabilità del felice esito del lancio, effettuato anche a distanza di sette, otto metri dalla preda.


La fase che precedeva la cattura era caratterizzata dal continuo vociare della vedetta e poi del "falerotu" che, oltre a dare le necessarie indicazioni sulla rotta, incitava i compagni alla voga.
La lancia d'elce, e non di quercia o di abete come ai tempi i Polibio, era incastrata con una estremità al corpo dell'arpione; a circa dieci o quindici centimetri dalla punta di questo erano - ed il sistema di costruzione viene adottato ancora oggi - collocate quattro alette, che una volta penetrate nel corpo del pesce impedivano all'arpione di sfilarsi.
Appena arpionato il pesce, l'uomo del faliere scendeva dall'albero del "luntro" e correva ad aiutare il lanciatore a manovrare la sagola a cui era ormai attaccato il pesce spada (o tonno, o anche squalo o aguglia imperiale).
La pesca con l'arpione oggi è quasi soppiantato da quella con i "palangresi", lunghe lenze con centinaia di ami che operano in tutte le stagioni e catturano anche gli "spadelli" ("puddicinedda"), i piccoli pesci spada di pochi chilogrammi.


Finché furono adoperati i "luntri" e le "feluche" fu vera caccia; poi con le "passerelle" divenne pesca, mentre con i "palangresi" oggi è un'industria; poi vennero anche le "spadare", enormi reti galleggianti che hanno ucciso tutto quanto capitava vicino, pesci spada grandi e piccoli, tonni, delfini, balenotteri.... Domani potrebbe non esserci più né caccia, né pesca, né industria. 

>>> ritorna alla prima parte

Raffaele Minasi, 1938, risiede a Savona dove lavora come bancario. Agli inizi degli anni '60, in Calabria,  con altri appassionati fonda il "Marisub Palmi". Nel 1996 la F.I.P.S.A.S. gli conferisce la "Stella d'argento al merito sportivo" per la sua lunga militanza, in seno alla stessa, quale dirigente, commissario sportivo e giudice di gara. Collabora occasionalmente con alcune testate subacquee e nutre interesse, anche se non professionale, per l'archeologia e la biologia marina.

info@cosedimare


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Recommend  Message 10 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:06 AM

http://www.ilgelato.net/numero6/storia.htm

GRANITA SICILIANA
UNBRIVIDODOLCISSIMO

Acqua, zucchero e poi frutta. Ma anche cioccolato, caffè, mandorla, pistacchio, gelsomino e persino yogurt. Nulla di più semplice e insieme di più gradito. Soprattutto d’estate. La granita siciliana è uno dei classici della gelateria artigianale italiana, di cui rappresenta la più fresca tentazione. E come per il gelato, le sue origini si perdono nel tempo.

Un   t u f f o   nel passato
In principio fu la neve. Per sfruttarne anche d’estate le proprietà dissetanti e rinfrescanti la si conservava, fin dai tempi della Palestina, in apposite costruzioni. E i primi tentativi di realizzare quella che più in là nel tempo sarebbe diventata la granita risalgono alle epoche pre-romane; già nell’antico Egitto, alla corte dei Faraoni, era abitudine servire ai propri ospiti calici ricolmi di neve fresca, addolcita con nettare di frutta. Si narra che questa dolcissima usanza fu praticata anche da Cleopatra per sedurre Cesare. 
Sia come sia, questo antenato della moderna granita arrivò a Roma; tra gli altri, ne era ghiotto Nerone. Ma con la caduta dell’Impero Romano e con l’avvento del Medioevo, della delizia ante-litteram si persero le tracce. Fu reintrodotta, in Sicilia, nel periodo della dominazione araba. 

Dalla Sicilia un’idea

Ai tempi i siciliani utilizzavano la neve per conservare i cibi durante l’estate; preposti al rifornimento dell’intera isola erano i cosidetti "nevaroli". Personaggi che si guadagnavano da vivere scavando profonde buche in cima all’Etna, così in inverno si riempivano di neve che poi sarebbe stata  rivenduta nella stagione calda. Gli arabi sfruttarono questa abitudine a fini più piacevoli, aggiungendo alla neve succo di arancia (o limone) dolcificato con miele. Era nata la granita. Inizialmente la si consumava accompagnata dal pane; e qualcosa di questa antica usanza è rimasto nella tradizione, infatti ancora oggi è consuetudine, in  Sicilia orientale, di far colazione con granita e brioche. 
Con il passare del tempo, mentre veniva scoperto il sistema per congelare direttamente i succhi di frutta, i gusti si moltiplicavano e la granita andava assumendo la fisionomia attuale che tutti conosciamo e apprezziamo. 

Una ricetta semplice
Parente stretta del gelato, la granita se ne differenzia per il maggior contenuto d’acqua e la quasi totale assenza di grassi. Da ciò deriva la sua tipica consistenza granulosa e anche le sue proprietà dissetanti e rinfrescanti. 
La ricetta della granita siciliana è quanto di più semplice possa esistere, ma allo stesso tempo ha i suoi piccoli segreti. La base di partenza è costituita da uno sciroppo di zucchero al 60 per cento, preparato esclusivamente con acqua e saccarosio. 
L’aggiunta di altri zuccheri, infatti, renderebbe più difficile la formazione dei fini cristalli di ghiaccio che sono la caratteristica principale della granita. 
Allo sciroppo così ottenuto si aggiunge succo di frutta fresca nella qualità desiderata; la quantità di succo necessario varia a seconda del tenore zuccherino del frutto prescelto. Ecco, per esempio, due ricette di miscele per altrettanti "classici": 
 

Granita di limone

  • Sciroppo   Kg 1,5      
  • Acqua   Kg 2,5          
  • Succo di limone  Kg 1
Granita di caffè 
  • Caffè espresso  Kg 4 
  • Zucchero (saccarosio) Kg 1


Le miscele così ottenute si gelano nei granitori (a tazze o a colonna) e quindi esposte nelle vaschette della vetrina. In alternativa è possibile utilizzare gli appositi sciroppi o i liofilizzati, proposti in numerosi gusti sia classici sia innovativi. 
 
 


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Recommend  Message 11 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:27 AM
Archiiiiiiiiiiiiiiiii...........................ma è sleale cosìììììììììììì
Hai portato qui due delle Delizie sicule, in più una con tutta l'impresa arcaica della pesca del pescespada, una vera sfida tra uomo e animale col mare che non fa da arbitro imparziale...........
Te strangolo cagnaccio calabrese
Creativa

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Recommend  Message 12 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:29 AM
Ecco me lo sono detto da solo
Archi

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Recommend  Message 13 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameCreativa®Sent: 5/24/2003 11:38 AM
Accidenti Archi!!! Ci mancavano le imitazioni qua
Le parole sarebbero state pari pari quelle Figghiolo d'un Calabrisi
Creativa.....quasi quasi nell'inserto Colombia gli abbattiamo un po' di cose di Gabriel.......
Archi non dirmi "Gabriel chi"....c'è un solo Gabriel della Colombia...no non è un trafficante, quello si chiamava Escobar, di nome non so di fatto se escobava o sculettava bohhhhh non sono e non ero pratica aho!!!
Comunque, cerco material de Gabriel sul web e lo inserisco in Colombia, per farti contento..ma non t'asspettare insegnamenti sconci!
Creativa

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Recommend  Message 14 of 14 in Discussion 
From: MSN NicknameArchi§TettiSent: 5/24/2003 11:41 AM
E mannaggia mò chi azz è sto Gabriel il colombiano.....Battistuta no, quello è argentino.....Gabriel Garko già campeggia nella camera di ma figghia e guai a cu ciu tocca....Gabriel.....Gabriel......
Ho capito....non me lo vuoi dì' e vor dì che me te leggo stassera!
Ciao biondaaaaaaa
Archi

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